Il periodo storico che si è soliti definire “letteratura imperiale” inizia ufficialmente nel 14 d. C. e termina nel 476 d. C., ossia con la morte di Ottaviano Augusto e la fine dell’Impero romano d’Occidente.

Le date, com’è ovvio, hanno un valore puramente indicativo, ma in questo caso assuomo anche un forte valore simbolico.

Alla morte di Ottaviano, infatti, è evidente che il Senato non ha ormai alcuna vera funzione politica, si limita a ratificare la successione al trono di Tiberio, figlio adottivo dell’imperatore. Roma è ormai di fatto un impero al cui vertice c’è un solo uomo che racchiude nella sua persona tutti i poteri dello Stato ed è comandante in capo delle forze armate.

Il 476 d. C., a sua volta, è la data in cui venne deposto l’ultimo imperatore romano, Romolo Augustolo. Nessuno sentì il bisogno di eleggere un altro imperatore per l’anno successivo, a dimostrazione del fatto che il vecchio impero, inteso come un’unica entità politico amministrativa non esisteva più; al suo posto si erano formati i regni romano barbarici, monarchie nazionali indipendenti l’una dall’altra.

È ovvio che in un arco di tempo così vasto, numerose siano state le modifiche intervenute nella società, nelle istituzioni, nella mentalità comune e, dunque, anche nella letteratura che quella società e quella mentalità ha espresso.

Per capire la portata del fenomeno, basta paragonare due dei tre romanzi che la letteratura latina ci ha lasciato: il Satyricon di Petronio, verosimilmente scritto da un cortigiano di Nerone nel I sec. d. C., e le Confessioni di s. Agostino, scritte quattrocento anni più tardi.

Il primo è una parodia del romanzo greco e dell’epica omerica, dell’Odissea nello specifico. Un racconto di avventure, con al centro una storia d’amore anomala in letteratura, essendo i protagonisti due omosessuali.

L’ambito geografico è quello dell’Italia romana, i valori che fanno muovere i vari personaggi, i modi di pensare, in una parola tutto, dalla religione alla cucina è esattamente quello che ci aspetteremmo nel racconto di uno scrittore di Roma antica.

Le Confessioni di s. Agostino, invece, raccontano non le vicende vissute dal protagonista, ma il contraccolpo psicologico che quelle vicende hanno determinato.

Agostino racconta la storia della sua vita, dall’infanzia alla conversione al cristianesimo, chiarendo, a ogni pagina, come il vero protagonista della sua storia sia stato Dio che, attraverso le circostanze e i volti incontrati (s. Ambrogio soprattutto), lo ha reso certo della sua vicinanza.

La concezione della vita, i valori, le attese dei protagonisti sono profondamente diversi, a significare che passeggiamo qui per i sentieri di un nuovo mondo, quello che oggi chiamiamo Medioevo.

È dunque solo per convenzione che possiamo far rientrare questi due scritti nell’ambito unico della “letteratura imperiale”, ma la loro distanza culturale ci fornisce anche la misura di un mutamento epocale che ha trasformato per sempre la società antica.