Caio Giulio Cesare nacque a Roma nel 100 a. C.

 

Discendente di una delle famiglie più nobili dell’impero (la sua gens portava il nome di Iulo, figlio di Enea), tuttavia, in quel preciso momento storico, la fortuna della sua stirpe si era affievolita e alla nobiltà non corrispondeva altrettanto potere politico o economico.

 

Era nipote di Caio Mario, il leader borghese eroe della guerra contro Giugurta, che aveva rivoluzionato Roma introducendo lo stipendio[1] per i militari, fidelizzando così gli eserciti al generale e provocando, di lì a poco, le sanguinose lotte fra i signori della guerra.

 

Non esistevano allora i partiti politici in senso moderno, ma due grandi aree di interesse economico che si erano “consorziate” in gruppi ben precisi:

 

·         da un lato gli optimates, i nobili conservatori, legati alla proprietà fondiaria

 

·         dall’altro i populares, cavalieri, pubblicani, quelle classi sociali, insomma, che detenevano fette sempre più consistenti di potere economico

 

Cesare mosse i primi passi politici fra i populares e per questo, nel momento in cui Silla e la nobilitas iniziarono la feroce campagna di repressione culminata nelle liste di proscrizione, si trasferì prudentemente in Asia dove ricoprì diversi incarichi militari.

 

Alla morte di Silla rientrò a Roma, riprendendo l’attività politica e dedicandosi all’attività giudiziaria come pubblico ministero.[2]

 

Proprio per essersi inimicato influenti personaggi della nobilitas con le sue arringhe, decise di andare nuovamente via dall’Italia e compì un viaggio di studi a Rodi, allora sede di una famosissima università.[3]

 

Il rapimento

 

Durante questo viaggio gli accadde un evento dal sapore romanzesco, che ne rivela le qualità di leader dal polso duro.

 

Anche a quel tempo, come oggi, esistevano flotte di pirati che rapivano personaggi influenti o navi mercantili per ottenere  lauti riscatti.

 

Cesare fu vittima illustre di un sequestro di persona, pagò il riscatto e, riottenuta la libertà, tornò dai suoi rapitori al comando di un’armata, li fece arrestare, quindi strangolare e crocifiggere nelle pubbliche vie.

 

Sarà la stessa tattica che utilizzerà durante la guerra in Gallia, efficacemente sintetizzata nel celebre verso virgiliano parcere subiectis debellare superbos, “perdonare chi si sottomette, distruggere i rivoltosi”: essere sempre disponibile al dialogo con i popoli che riconoscono la sua autorità, ma punire severamente chi si ribella all’ordine da lui imposto, con azioni dimostrative che inoculino il terrore della repressione romana.

 

Prime cariche pubbliche

 

Tornato a Roma, nel 72 a. C. Cesare ottenne un importante successo personale, risultando primo nelle elezioni per tribuno militare.

 

Nel 69 a. C. venne eletto questore, nel 63 Pontefice massimo.

 

Quest’ultima vittoria elettorale, nettissima, gettò scompiglio nel partito avversario, infatti gli optimates avevano appoggiato propri candidati per un incarico così ambito e la pesante sconfitta fece loro chiaramente capire il peso politico ormai acquisito dal nuovo leader.

 

Pretore l’anno seguente, sembrava che ormai la carriera di Cesare non conoscesse ostacoli.

 

 

 

Primi scandali

 

Accusato di aver partecipato alla congiura di Catilina (alla quale con ogni probabilità partecipò effettivamente[4]), Cesare fu difeso addirittura da Cicerone, esponente di spicco del partito avversario, a dimostrazione che ormai godeva di un ampio appoggio bipartisan.

 

Nel 62 a. C. fu vittima di uno scandalo a fondo sessuale: sua moglie Pompea, aveva un amante, il tribuno della plebe Publio Clodio il quale, di notte, si introdusse di nascosto in casa di Cesare, travestendosi da donna, per partecipare ai riti della dea Bona.

 

Scoperto in flagranza, si gridò allo scandalo, non solo per la liaison adulterina, ma per la dissacrazione del rito. Cesare ripudiò[5] Pompea, ma decise di non sporgere denuncia contro Clodio (la cui amicizia gli tornerà utile qualche anno dopo).

 

 

 

Il triumvirato

 

Allo scadere della pretura, Cesare ottenne il governo della Spagna ulteriore,[6] dove ottenne importanti successi militari.

 

Il momento politico era favorevole a una svolta autoritaristica: Pompeo, reduce dalla vittoriosa guerra in Oriente contro Mitridate, chiedeva terre per i suoi veterani, ma il Senato, preoccupato del suo crescente potere, gliele negava. Crasso si faceva portavoce degli interessi dei pubblicani, gli appaltatori delle imposte provinciali, che chiedevano forti agevolazioni fiscali ma, anche in questo caso, il Senato opponeva un netto rifiuto[7]. Cesare, dal canto suo, aspirava al consolato.

 

Questi tre uomini si incontrarono segretamente a Lucca e stipularono un accordo privato con cui decidevano di fatto la politica dell’impero.

 

L’accordo[8] segna un passaggio epocale nella storia di Roma, infatti da questo momento il Senato è sostanzialmente svuotato dei suoi poteri, non in maniera episodica, come poteva essere accaduto  ai tempi di Mario e Silla, ma in maniera sistematica e definitiva.

 

Eletto console per il 59 a. C., Cesare si dimostrò alleato affidabile: fece approvare le distribuzioni di terre ai veterani di Pompeo, ma andò oltre, acquistando terreni da distribuire ai proletarii, guadagnando consenso anche alla propria parte politica di cui ormai era il leader indiscusso.

 

Per fare questo, e per allontanare da sé il sospetto di essere un demagogo, non ripropose la confisca dei terreni abusivamente occupati dai senatori, come avevano fatto i fratelli Gracchi, ma li acquistò con denaro pubblico, presentandosi dunque come un leader pacificatore, capace di mediare fra i diversi interessi corporativi.

 

Propose poi una legge favorevole alla lobby di Crasso, diminuendo di ben il 30% le tasse dovute dai pubblicani allo Stato.

 

Infine, ordinò che le sedute del Senato fossero verbalizzate e i verbali disponibili per chiunque, una sorta di legge sulla trasparenza degli atti amministrativi, più pubblicistica che di sostanza, ma che comunque lo faceva mediaticamente apparire come un leader coraggioso e innovativo, contrario ai privilegi delle caste al potere.

 

Scaduto il mandato consolare, ottenne il proconsolato della Gallia Cisalpina per cinque anni.

 

 

 

Regolamento di conti

 

Prima di iniziare la campagna gallica, forse preoccupato di una possibile azione contro di lui negli anni della sua assenza, Cesare pensò bene di sbarazzarsi di due avversari scomodi: Catone e Cicerone.

 

Catone era stato intransigente difensore della costituzione vigente e delle prerogative del Senato, opponendosi in più occasioni ai triumviri: gli fu trovato un incarico come governatore dell’isola di Cipro. Non si poteva immaginare, forse, un luogo più lontano dai centri del potere reale.

 

Per quanto riguardava Cicerone, si ricorse all’astuzia di una legge ad personam.

 

Il tribuno della plebe Publio Clodio, il protagonista dello scandalo con Pompea, fece approvare una legge per cui chi aveva condannato a morte un cittadino romano senza concedergli l’appello al popolo meritava l’esilio.

 

Si trattava di un apparente principio di tutela dei diritti dei cittadini, ma in realtà si voleva colpire Cicerone, che nei momenti concitati della congiura di Catilina, in qualità di console, aveva deciso la condanna a morte dei congiurati, appunto senza concedere il diritto di appello.

 

 

 

La guerra preventiva al vandalismo gallico

 

Sicuro alle spalle per l’assenza dei suoi nemici e forte dell’appoggio degli altri due triumviri, Cesare poté concentrarsi sul nuovo incarico.

 

Nel marzo del 58 a. C. una tribù di Helvetii,[9] voleva emigrare in Gallia alla ricerca di territori più fertili. Per far questo chiesero a Cesare il passaggio attraverso la provincia romana; il proconsole armò le sue legioni, ricacciò in patria gli Helvetii e, giunto al di là delle Alpi, si accorse[10] di una situazione potenzialmente pericolosa per il popolo romano, ossia l’estrema rivalità fra le tribù galliche e la costante minaccia delle tribù germaniche, che minacciavano di sconfinare in Italia e razziarne i campi.

 

Ritenne allora necessaria una vasta operazione militare che pacificasse quei territori e scongiurasse il pericolo di atti di vandalismo sul suolo nazionale.

 

Forte di questi argomenti, Cesare invase e conquistò l’attuale Francia, il Belgio, si spinse fino al Reno a est e in Britannia a nord, allargando i confini dell’impero[11] in maniera considerevole e acquistando una indiscussa popolarità, dato che ormai da tempo non emergeva una figura di conquistatore che rinverdisse gli allori gloriosi del popolo romano.

 

 

 

La guerra civile

 

Scaduto il mandato proconsolare, Cesare tentò di farsi rieleggere console. Non voleva tuttavia lasciare le terre appena conquistate e il suo esercito, così chiese al Senato di potersi candidare da assente.

 

Il Senato negò tale possibilità e gli intimò di presentarsi a Roma da privato cittadino, senza esercito e senza scorta.

 

I tempi erano cambiati da quando Cesare era partito per la Gallia: Crasso era morto in Asia nel tentativo di conquista del regno dei Parti[12] e Pompeo aveva raggiunto un punto di equilibrio con il Senato. Del vecchio triumvirato, dei motivi che lo avevano reso possibile, non rimaneva sostanzialmente nulla.

 

Cesare capì che lo si voleva eliminare dalla scena politica se non fisicamente e, con un’ardita escamotage mediatica, dichiarò che il Senato di Roma non rappresentava più gli interessi del popolo e dunque, per difendere tali superiori interessi, era necessario utilizzare adeguati strumenti. In pratica valicò il Rubicone con il suo esercito e conquistò Roma con le armi, attuando un vero e proprio colpo di Stato.

 

I suoi avversari fuggirono precipitosamente in Grecia, dove organizzarono un esercito.

 

Cesare, dopo aver sconfitto le legioni fedeli a Pompeo stanziate in Spagna, passò con l’esercito in Grecia. Qui, nel 48 a. C., nella battaglia di Farsàlo, inflisse una pesantissima sconfitta alle truppe avversarie.

 

 

 

Dittatore a vita

 

Pompeo fuggì in Egitto, dove sperava di poter organizzare la resistenza con l’aiuto del faraone Tolomeo XIII.[13]

 

Il giovane faraone, invece, su suggerimento dei suoi consiglieri, inviò a Pompeo due sicari che lo assassinarono.

 

Giunto ad Alessandria, in una macabra scena di stile shakespeariano, Cesare si vide dunque portare la testa di Pompeo su un vassoio; ma non gradì.

 

Nella lotta dinastica interna alla famiglia reale, Cesare favorì Cleopatra, sorella di Tolomeo e lo sconfisse militarmente.

 

Dopo aver sedato le ultime scintille di rivolta in Africa e in Spagna, tornò a Roma dove si dedicò alla riorganizzazione dello Stato.

 

Nominato dictator perpetuus, si aprì una nuova (breve) fase della sua vita, in cui quel poco che era rimasto della Repubblica romana venne definitivamente affossato.

 

Contro di lui, sia che fossero animati da autentico spirito libertario, sia da interessi “di partito”[14], si formò una congiura che coinvolgeva i vertici dello Stato.

 

Alle idi di marzo del 44 a. C., pur avvertito di un possibile attentato, Cesare si recò in Senato, dove venne trucidato.

 

 

 

 

 



[1] Il “soldo”, da cui “soldato”.

[2] Come altre volte, utilizzo qui l’espressione moderna che più si avvicina, nelle funzioni, a quella antica. Sia chiaro, però, che l’espressione “pubblico ministero” è moderna e non latina.

[3] Vi si insegnava retorica, diciamo scienza della comunicazione, per professionisti della politica e del Foro. Le famiglie della Roma bene mandavano volentieri i figli all’estero sia per perfezionare gli studi che per imparare il greco, allora la lingua della comunicazione internazionale.

[4] Durante l’acceso dibattito in Senato, si scontrarono due posizioni: una, sostenuta da Catone, secondo cui i Catilinari andavano senz’altro condannati a morte, l’altra, sostenuta proprio da Cesare, che pensava a una punizione più blanda: la confisca dei beni e l’esilio.

[5] Nel mondo antico non esisteva il divorzio, che è un atto consensuale tra pari, tanto meno nel mondo romano dove la donna era una sorta di oggetto che passava dalla tutela del padre a quella del marito, non per nulla “sposarsi” in latino si diceva “uxorem ducere”, cioè letteralmente “prendere la moglie dalle mani del padre e portarsela in casa”.

[6] Corrispondente all’incirca al Portogallo odierno.

[7] Il provvedimento avrebbe avvantaggiato i pubblicani, ma avrebbe diminuito il gettito fiscale amministrato dai senatori.

[8] Primo triumvirato, per distinguerlo da quello successivamente stipulato fra Ottaviano, Antonio e Lepido.

[9] Abitanti dell’attuale Svizzera che anche oggi, infatti, prende il nome di Confederazione elvetica.

[10] Allo storico moderno che voglia approfondire la conoscenza di questa come altre guerre combattute dagli eserciti romani resta l’amaro in bocca per l’assenza di fonti alternative. Come accade anche per le guerre puniche, noi non possediamo il racconto degli “altri”, ma solo quello dei vincitori Romani. Nel caso di Cesare, poi, il problema è più grande, perché la nostra unica fonte coeva agli avvenimenti sono i Commentarii de Bello Gallico scritti proprio da Cesare. Questo non significa che egli abbia raccontato il falso, ma certamente se noi avessimo anche il punto di vista gallico sulle vicende, potremmo avere una visione di quegli anni più completa.

[11] Il giudizio moderno sull’operato di Cesare dipende, ovviamente, dalla personale visione che si ha della storia. Si può focalizzare l’attenzione sui metodi brutali utilizzati dal generale romano per sedare le rivolte contro l’invasione romana, e allora egli ci apparirà come un conquistatore spregiudicato, abile a ritagliarsi spazi di potere sempre più ampi. Al contrario c’è chi sostiene che i metodi di Cesare erano assolutamente normali per quell’epoca, comunemente accettati dal diritto internazionale e dalla prassi e sottolinea, invece, come risultato primario della conquista, la creazione di un’entità sovranazionale europea, con un unico panorama di leggi e una lingua unica. Insomma Cesare avrebbe creato il primo nucleo di quella che poi è diventata l’Europa moderna.

[12] L’attuale Iran.

[13] In Egitto dal IV sec. a. C. regnava una stirpe di origine greca, discendente da Tolomeo, uno dei generali macedoni che avevano partecipato alla spartizione dell’impero costruito da Alessandro Magno. Questi re, anche se di origine greca, avevano tuttavia governato l’Egitto garantendosi le prerogative e i titoli degli antichi faraoni.

[14] Il gruppo degli assassini di Cesare era, in effetti, eterogeneo e comprendeva sia ex pompeiani che personaggi di spicco dello stesso entourage cesariano, basti pensare a Bruto, suo figlio adottivo; ma i contorni preci della congiura sono a tutt’oggi oscuri, tanto che qualcuno ipotizza un coinvolgimento addirittura di Marco Antonio.