In un recente saggio su Cicerone E. Narducci, ha pensato di adottare per il periodo della storia di Roma che va dal 91 a. C. al 31 (o 27) a. C. la definizione di secolo breve che già Hobsbawm aveva applicato al Novecento.

 

«Si potrebbe parlarne come di un ‘secolo breve’, in un senso non dissimile da quello in cui Eric J. Hobsbawm ha impiegato questo termine per la storia del Novecento, che egli fa incominciare nel 1914, quando lo scoppio della prima guerra mondiale pone fine al precedente assetto geopolitico, e terminare nel 1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, con la quale nuovamente si scompongono gli equilibri mondiali e si aprono scenari tuttora imprevedibili. L’ultimo secolo della repubblica romana potrebbe anch’esso venir detto ‘breve’ da chi volesse fissarne l’inizio nel 91/90 a. C., quando la guerra sociale dà il via a una lunghissima stagione di conflitti civili, e la fine nel 31 o 27, cioè con la vittoria di Azio o con la riforma costituzionale che conferisce a Ottaviano il titolo di Augusto: in ogni caso con il tramonto definitivo della repubblica. A rafforzare il paragone, può valere la catena di guerre, di violenze, di massacri che caratterizzano il I secolo a. C. e l’ultimo secolo del secondo millennio d. C.»[1]

 

In questo periodo convulso, di aspre tensioni sociali e frequenti conflitti militari emersero, comunque, alcune fra le più grandi figure di letterati che Roma conobbe: Cicerone, Catullo, Cesare, Orazio, Virgilio ... appartengono tutti a questo periodo e, così come la storia della politica, anche quella della letteratura (non solo latina) non sarebbe più stata uguale dopo di loro.

 



[1] E. Narducci, Cicerone, La parola e la politica, Laterza, 2009, p. 15.