Sallustio scrisse opere storiografiche, in cui cioè non si limitava a raccontare determinati episodi storici, ma ne tentava un’interpretazione complessiva.

 

Esse sono: La congiura di Catilina (De Catilinae coniuratione), in cui viene narrato il fallito colpo di stato tentato da Catilina nel 63 a. C. e La guerra di Giugurta (Bellum Iugurthinum), nella quale l’autore racconta la guerra combattuta dai Romani contro il re di Numidia Giugurta dal 111 al 105 a. C.

 

Si tratta di due opere monografiche, che cioè trattano un singolo evento, contrariamente a quello che avevano sempre fatto gli storici romani, ossia narrare gli eventi anno per anno senza privilegiare alcun nesso comune.

 

La selezione di Sallustio non è casuale: egli rifletteva sulle ragioni profonde della crisi della res publica e le individuava, con sagace intuito, in due momenti ben precisi della recente storia di Roma: la crisi morale dell'aristocrazia e l’affermazione di Gaio Mario come leader dei populares (con il corollario importantissimo della riforma del reclutamento degli eserciti, ora costituiti da mercenari fedeli al proprio comandante, piuttosto che da cittadini fedeli allo Stato). E, in secondo luogo, nella congiura di Catilina e ide suoi seguaci, la quale dimostrava che le nuove generazioni erano cresciute prive di freni morali e non disdegnavano di progettare un massacro su larga scala dei loro colleghi senatori, pur di raggiungere il potere. Per giunta, per realizzare il suo progetto eversivo, Catilina, che pure apparteneva a una delle più nobili famiglie di Roma, si appoggiava agli strati più umili della popolazione e, cosa che nessun leader romano aveva mai pensato di fare, addirittura arruolava schiavi fuggitivi fra i suoi soldati. Il massimo dell’aberrazione.

 

Questi due episodi, dunque, rendevano conto meglio di molti altri, del profondo mutamento intervenuto nella società romana negli ultimi secoli, e per questo Sallustio li scelse.

 

 

 

Una terza opera storiografica, le Storie (Historiae), non furono completate a causa della morte dell’autore, e ci sono giunte in condizioni frammentarie.

 

I fatti narrati in quest’opera vanno dal 78 a. C. (morte di Silla) al 67 a. C., quando a Pompeo furono conferiti poteri straordinari nella lotta contro i pirati.

 

Con questa scelta, forse, Sallustio voleva in qualche modo colmare il divario cronologico che separava le due monografie

 

L’impianto di quest’ultima opera non era monografico come le prime due e, per ragioni che chiariremo subito, manifesta un pessimismo estremo.

 

Nel De Catilinae coniuratione e nel Bellum Iugurthinum, infatti, Sallustio individuava due episodi gravissimi di decadenza dell’antico spirito repubblicano che aveva fatto la grandezza di Roma, e tuttavia egli credeva fermamente che quello spirito potesse ritornare.

 

Si potrebbe anzi dire in un certo senso che Sallustio vede le proprie opere come un aiuto alla causa della rigenerazione morale della società politica contemporanea, infatti mettendo davanti agli occhi del suo pubblico personaggi titanici ma profondamente corrotti come Giugurta o Catilina, vuole sviare i lettori dal seguirne le orme.

 

C’è poi un altro aspetto non indifferente: la luxuria, il vero leit motiv delle due monografie.

 

Secondo Sallustio, Roma si era ingrandita sempre più grazie alle virtù morali dei suoi grandi condottieri, a cui le nuove generazioni potevano guardare come modelli di comportamento. Dopo la fine delle guerre puniche, però, la ricchezza dei ceti dominanti era divenuta tale da costituire essa stessa un fine. Dagli ultimi decenni del II sec. a. C. fino ai suoi tempi, la luxuria, il desiderio del lusso sfrenato, era divenuto motivo di vita per i ceti più abbienti che amavano gareggiare fra loro in sfarzo e si ricoprivano di debiti pur di condurre una vita da super vip. L’esempio più eclatante, in tal senso, era proprio Catilina.

 

Dunque, in queste opere Sallustio vedeva sì la corruzione dei suoi tempi, ma anche una possibile soluzione: un ritorno allo stile di vita che aveva contraddistinto le classi agiate di Roma prima delle guerre puniche e la conseguente proposta ai giovani di modelli di vita sani come, ad es., gli Scipioni, grandi condottieri della Repubblica.

 

Nelle Historiae, invece, almeno in base a quello che ci è rimasto, non è dato scorgere alcunché di positivo. Sallustio non crede più nella possibilità che le nuove generazioni riprendano costumi di vita sani, ai suoi occhi appaiono ormai tutti corrotti e corruttori e il declino di Roma è inevitabile.

 

 

 

Opere spurie

La tradizione ci ha tramandato, sotto il nome di Sallustio due lettere a Cesare e una Invectiva in Ciceronem. Queste opere, pur attribuite a Sallustio e affini allo stile delle monografie, sono oggi concordemente ritenute non autentiche dalla critica. Si pensa infatti che siano esercitazioni di scuola elaborate successivamente alla morte dell’autore e poi erroneamente a lui attribuite dai copisti.