La locandiera è una delle opere più famose nell'intera carriera teatrale di Goldoni, tanto che è stata tradotta e rappresentata anche in Cina e in Giappone.
A Pechino, ad esempio, nel 1957 fu rappresentata una versione della Locandiera nel Teatro Popolare Cinese e, nello stesso anno, a Kyoto; mentre nel 1962 un’altra versione nipponica (Yadoya no Onna Shujin) fu allestita per il Teatro Hitachi saloon di Osaka e a Tokyo in anni più recenti (1997) una nuova versione che ingloba nel titolo il nome della protagonista (Mirandolina-Yadoya no Onna Shujin), per la regia di Sakura Moriwa.
Goldoni stesso, nei Mémoires racconta la genesi dell'opera:
Arrivato alla novena di Natale dell'anno 1751, mi parve tempo di far risovvenire Medebac che il nostro impegno stava per terminare, e di prevenirlo che non facesse fondamento sopra di me per l'anno seguente.
Gliene parlai amichevolmente e senza formalità. Mi rispose con tutta pulitezza che gli dispiaceva, ma che io era il padrone della mia volontà. Fece però tutto il possibile per impegnarmi a rimanere con lui, e mi fece parlare da molte persone; ma io aveva già risoluto, e nei dieci giorni di riposo mi era accordato con S. E. Vendramini, nobile veneto e proprietario del Teatro San Luca.
Doveva lavorare ancora pel Teatro sant'Angelo sino al termine del carnevale 1752; e soddisfeci al mio dovere sì bene che diedi al Direttore più Commedie di quel che potesse nel carnevale suddetto rappresentare, e gliene restarono alcune che fece valere dopo la nostra separazione.
Madama Medebac era sempre ammalata. I suoi vapori divenivano sempre più nojosi e ridicoli: rideva e piangeva in una volta, mandava grida, faceva mille smorfie e mille contorsioni. La buona gente di sua famiglia, credendola affascinata, fece venir Esorcisti, e carica di reliquie, giuocava e scherzava con quei monumenti pii come una fanciulla di tre o quattro anni.
Vedendo la prima Attrice fuor di stato d'esporsi sopra la scena, all'apertura dal carnevale feci una Commedia per la cameriera o servetta. Madama Medebac si fece veder in piedi ed in buon essere il dì di Natale; ma quando seppe che si era affissata per giorno appresso la Locandiera, Commedia nuova fatta per Corallina, andò a rimettersi in letto con convulsioni di nuova invenzione, che facevano impazzire sua madre, suo marito, i suoi parenti ed i suoi domestici.
Aprimmo dunque lo spettacolo il dì 26 dicembre con la Locandiera. Questa vien da Locanda, che in italiano significa la stessa cosa che hôtel garni in francese. Non vi è termine proprio in lingua francese per indicar l'uomo o la donna che tien locanda. Se si volesse tradurre questa Commedia in francese, converrebbe cercar il titolo nel carattere, e questo sarebbe senza dubbio la Femme adroite.
Mirandolina tiene una locanda a Firenze, e colle sue grazie e col suo spirito guadagna, ancor senza volerlo, il cuore di tutti quelli che alloggian da lei.
Di tre forestieri che sono alloggiati in questa locanda, ve ne son due che sono innamorati della bella Locandiera; ma il cavalier Ripafratta, ch'è il terzo, non essendo capace d'alcun attacco per le donne, la tratta rusticamente e si burla de' suoi compagni.
È giustamente contra quest'uomo selvatico e rustico, che Mirandolina addirizza tutte le sue batterie. Essa non l'ama; ma è punta e vuole per amor proprio e per onor del suo sesso sommetterlo, umiliarlo e punirlo.
Comincia coll'adularlo, fingendo d'approvare i suoi costumi ed il suo disprezzo per le donne: affetta ancor ella il medesimo disgusto per gli uomini, e detesta i due forestieri che l'importunano: non è che nell'appartamento del cavaliere, che essa entra con piacer grande, essendo sicura di non essere annojata da sciocchezze ridicole. Guadagna tosto con quest'astuzia la stima del cavaliere, che l'ammira e la crede degna della sua confidenza: egli la riguarda come una donna di buon senso, e vedela con piacere. La Locandiera si approfitta di questi favorevoli istanti, e raddoppia le sue attenzioni per lui.
L'uomo duro comincia a concepire sentimenti di gratitudine: divien amico d'una donna che trova straordinaria, e che gli par rispettabile. S'annoja allorchè non la vede, va in traccia di lei, in una parola, innamorasi.
Mirandolina è nel colmo della gioja, ma la sua vendetta non è ancor soddisfatta. Ella vuol vederlo ai suoi piedi. Vi giugne; ed allora tormentalo, lo desola, lo fa disperare, e finisce sposando sotto gli occhj del cavaliere un uom del suo stato, a cui ella aveva data la sua parola d'onore da lungo tempo.
L'incontro di questa Commedia fu così splendido, che la misero al pari, ed al di sopra ancora di quanto aveva fatto in tal genere, in cui l'artificio supplisce all'interesse.
Non si crederà forse, senza leggerla, che i progetti, le direzioni ed il trionfo di Mirandolina siano verisimili nello spazio di ventiquattr'ore.
Mi avran forse adulato in Italia; ma mi han fatto credere che non aveva fatta Commedia più naturale e più ben condotta, e che l'azione trovavasi perfettamente sostenuta e completa.
Dietro alla gelosia che producevano nell'animo di madama Medebac i progressi di Corallina, quest'ultima Commedia avrebbe dovuto mandarla sotterra; ma siccome i suoi vapori erano d'una specie singolare, essa abbandonò il letto due giorni dopo, e domandò che si tagliasse il corso delle rappresentazioni della Locandiera, e che si rimettesse sul Teatro Pamela
Fino a quel momento il teatro comico era stato popolato da figure di donne che, grazie alla loro costante umiltà, alla fine della vicenda venivano gratificate con il matrimonio o con la ricomposizione della pace coniugale.
O, al contrario, da servette, seduttrici di mestiere, cristallizzate in maschere fisse, come la Colombina della commedia dell’arte, o la Corallina che abita le scene di tante commedie goldoniane.
Qui, al contrario, siamo di fronte a una donna del tutto eccezionale: imprenditrice, ha al suo servizio un cameriere, Fabrizio, con un ribaltamento esplicito del tradizionale asse uomo-donna, tiene personalmente la contabilità dell’azienda, tanto che il Cavaliere se ne stupisce
«Quei che mi corrono dietro, presto presto mi annoiano. La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo, e non la stimo. Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà. Tratto con tutti, ma non m’innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e voglio usar tutta l’arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura.»[1]
[1] Locandiera, I, 9.