14 d.C. - 37 d. C. regno di Tiberio
37 d. C. - 41 d. C. regno di Caligola
41 d. C. - 54 d. C. regno di Claudio
54 d. C. - 68 d. C. regno di Nerone
Il regno di Tiberio ebbe inizio all'ombra di un sospetto: che insieme a sua madre Livia avessero architettato l'avvelenamento di Augusto.
Lo storico Tacito, infatti, all'inizio degli Annales, fa emergere l'inquietante ipotesi che l'anziano princeps si fosse pentito di aver adottato il figliastro Tiberio e stesse pensando a una succesione interna alla propria famiglia.
Strano che, proprio dopo aver manifestato tale intenzione, il princeps sia improvvisamente deceduto.
Tuttavia, non essendoci altri pretendenti, il Senato ratificò la volontà di Augusto e Tiberio fu imperatore.
Onorando le intenzioni del precedente imperatore, egli adottò e chiamò a collaborare in importanti operazioni militari il nipote di Augusto, Druso Claudio Nerone (soprannominato Germanico per le vittore militari del padre), che conquistò grande fama per aver riportato anch'egli significative vittorie in battaglie contro i Germani, garantendo sicurezza al confine con il Reno e riuscendo a recuperare due delle tre aquile perdute nella battaglia di Teutoburgo.
Forse per paura dell'eccessiva popolarità di Germanico o forse ancora sospettando un tentativo di congiura nei suoi confronti, Tiberio preferì allontanare il giovane vittorioso spedendolo in Asia minore, terra di forti attriti, dove importanti questioni politiche aspettavano di essere risolte.
Germanico si dimostrò politico abilissimo e a quel punto, l'entourage di Tiberio temette una possibile guerra all'impero dei Parti.
Se, dopo aver sconfitto i Germani, avesse riportato una vittoria anche sui Parti, Germanico avrebbe guadagnato un prestigio superiore a qualsiasi comandante romano prima di lui e avrebbe potuto competere in gloria addirittura con Alessandro il Grande.
Stranamente, proprio alla vigilia dell'importante campagna, Germanico morì.
Anche stavolta il sospetto di Tacito di un avvelenamento è esplicito, come, nota ancora lo storico, apparve strano che Tiberio non partecipasse alla cerimonia di tumulazione dei resti del defunto.
Ma Tiberio era imperatore.
Per evitare che la propria immagine fosse scalfita dalle maldicenze, il princeps emanò la legge di lesa maestà, in base alla quale diventava un reato passibile di pena capitale anche il solo parlar male dell'imperatore.
Pensava, così, di sopire qualsiasi voce discordante e garantirsi un governo sereno.
Invece il malcontento peggiorò e Tiberio, che non aveva la stoffa dei grandi leader, preferì ritirarsi a Capri, nel 26 d. C., lasciando la politica di Roma nelle mani del prefetto del pretorio, Seiano.
Pur trattandosi di una carica di governo molto recente, creata ad hoc da Ottaviano, il prefetto del pretorio aveva acquistato un potere politico senza pari.
Nata come guardia personale del princeps, la coorte pretoria era diventata nei fatti una guarnigione permanente che il princeps utilizzava come deterrente per costringere il Senato a votare secondo i suoi desiderata.
Il titolo di princeps senatus, infatti, garantiva all'imperatore solo il diritto di votare per primo in Senato.
Ma quale senatore avrebbe potuto pensare di votare in maniera difforme dall'imperatore, sapendo che una coorte di 9.000 soldati, addestrati e pronti a uccidere, attendeva in armi fuori dall'aula del Senato?
Il comandante dei pretoriani, quindi, aveva assunto un ruolo, nominalmente non politico, ma nei fatti determinante.
Seiano colpì duramente gli avversari di Tiberio sfruttando proprio la legge di lesa maestà.
Li fece accusare da delatori compiacenti, li condannò e li uccise.
Ma, nel tempo, probabilmente, elaborò un personale piano di conquista del potere.
Fece uccidere l'unico figlio di Tiberio: Druso.
Esiliò Agrippina, vedova di Germanico e ne uccise i figli (tranne un bimbo, allora troppo piccolo per rappresentare una minaccia, amato dai soldati del padre, che lo avevano affettuosamente soprannominato Caligola, sandaletti).
A Tiberio, pur negli ozi di Capri, giunse voce che dopo aver eliminato i suoi presunti avversari, Seiano avrebbe eliminato lo stesso imperatore per sedersi sul suo trono.
Nel 31 d. C. Seiano fu accusato in base alla legge di lesa maestà, condannato e ucciso. La nemesi storica, in questo caso, era stata celerissima.
Nei successivi anni l'azione politica di Tiberio fu alquanto pallida ed egli morì senza particolari clamori, nel 37 d. C., lasciando come unica vera eredità del proprio governo, la legge più antirepressiva che la storia romana ricorda, odiato proprio da quel popolo romano della cui volontà, in teoria, egli avrebbe dovuto essere un semplice esecutore.
Alla morte di Tiberio l'esercito e il popolo videro nell'unico figlio di Germanico sopravvissuto alle stragi di Seiano il vero erede della grande storia militare romana.
Lo acclamarono pertanto imperatore senza attendere l'azione del Senato, ormai una larva di se stesso.
Caio Giulio Cesare Germanico, soprannominato fin da bambino Caligola, divenne così imperatore, ma seppellì ben presto le speranze di gloria che si erano addensate intorno al suo capo.
In verità, appena eletto Caligola aveva provato a confermare il consenso intorno alla propria persona, abolendo la legge di lesa maestà e stabilendo elargizioni in denaro per i soldati e la plebe romana, i due poli di potere che avevano deciso per la sua elezione imperiale.
Tuttavia si lasciò presto affascinare dal proprio narcisismo.
Volle essere non solo imperatore, ma dio alla maniera dei monarchi orientali.
Come alcuni dei peggiori dittatori del Novecento, che nel loro delirio totalitaristico hanno sostituito la propria immagine a quella della fede tradizionale, così fece Caligola che introdusse a forza statue di se stesso in tutti i templi dell'impero, comprese le sinagoghe ebraiche, compreso il sancta sanctorum di Gerusalemme.
Il mito di Germanico, sui cui aveva fondato la sua investitura imperiale, crollò immediatamente.
In Israele scoppiò una violenta rivolta contro l'esercito romano.
Caligola, anziché meditare sulla propria strategia mediatica, insisté, arrivando a nominare senatore un suo cavallo, per dimostrare a tutti che il proprio potere era assoluto e incontestabile.
Tuttavia fu contestato.
Lui che aveva abolito la legge di lesa maestà, inscenò una fitta serie di processi farsa con cui condannò a morte decine di suoi avversari, instaurando nei fatti un regime del terrore.
Per evitare il peggio, provò a garantirsi la fedeltà dei militari e della plebe.
A favore dei primi non smise di stanziare forti somme di denaro.
Alla plebe offrì distribuzioni di alimenti e spettacoli gratuiti.
Le finanze dello Stato, in assenza anche della parvenza di una politica economica, erano esauste e l'impero romano sull'orlo della bancarotta.
Nel 41 d. C. proprio i militari che aveva abbondantemente favorito, addirittura l'elite, la guardia pretoriana, decise di porre fine al regno del folle e, così facilmente come lo aveva creato imperatore, lo uccise.
Un respiro di sollievo attraversò l'impero e questa volta i militari, anziché puntare sul giovane dinamico dalle grandi promesse, optarono per un più attempato parente di Caligola, che avrebbe potuto garantire un'azione di governo più sobria.
Tiberio Claudio Druso, fratello di Germanico, divenne imperator all'età di cinquant'anni.
Fino a quel momento era vissuto di studi storici eruditi, coltivati all'ombra della grandezza del fratello.
Di costituzione gracile, sembrava essere il contrario del modello solare del generale vittorioso caro alla propaganda romana e, soprattutto, inesperto di tattica militare e di politica, perciò inadatto al ruolo di guida politica.
I pretoriani e i gruppi di potere che lo avevano portato sul trono ne erano ben coscienti e, anzi, probabilmente, lo avevano scelto proprio per questo, immaginando di poterlo manovrare nel più semplice dei modi.
Claudio, però, si rivelò tutt'altro che inadatto al proprio ruolo.
Capì subito qual era il gioco che si tentava di fare alle sue spalle e fece la propria personale rivoluzione silenziosa circondandosi di liberti, cui affidava importanti incarichi politici e amministrativi.
I liberti, come ci dimostra anche la polemica nei loro confronti della letteratura di questo periodo e della successiva età dei Flavi, erano la classe emergente.
Contrapposti alla nobiltà romana tradizionale, ancorata allo sfruttamento della terra e alla relativa vendita dei prodotti agricoli o d'allevamento, questi schiavi liberati (il termine liberti significa proprio questo) avevano saputo costruire con coraggioso spirito imprenditoriale (o con accorta furbizia secondo gli storici romani) fortune personali nei settori emergenti dell'economia del tempo (il commercio innanzitutto).
Venuti su dalla povertà e dalla peggiore delle condizioni umane erano animati da uno spirito carrieristico e a volte di vendetta che li portava a rischiare come i rampolli delle nobili famiglie, infiacchiti nel corpo e nella mente, avevano da tempo immemorabile smesso di fare.
E, soprattutto, non c'era il rischio che aspirassero a sostituirsi all'imperatore, perché, per quanto Roma stesse cambiando, non era ipotizzabile che un ex schiavo sedesse sul trono dei Cesari.
Preparati ed efficienti, sapevano di non poter contare sul proprio lignaggio e che il loro ruolo dipendeva unicamente dalla benevolenza personale dell'imperatore. Ciò li rendeva anche affidabili.
Per questo motivo Claudio li scelse e, a giudicare almeno dalla longevità del suo regno e dall'assenza di attentati nei suoi confronti, la scelta si dimostrò lungimirante.
Durante i tredici anni del suo governo, le finanze statali dissestate da Caligola vennero ripianate, l'intero sistema della burocrazia imperiale fu razionalizzato, il diritto di cittadinanza fu esteso, ai cavalieri fu concesso il governo delle province minori.
Nella capitale furono costruiti due acquedotti, ampliato il porto di Ostia, bonificati terreni paludosi e malsani.
Furono conquistate la Britannia meridionale e la Tracia che divennero province romane, allargando ulteriormente i confini dell'impero e garantendo nuovo gettito alle casse del Fisco.
Insomma il meglio che ci si potesse aspettare da un condottiero romano.
Non altrettanto felice fu la sorte di Claudio nella vita privata.
Durante il regno di Caligola era stato costretto a sposare la quattordicenne Messalina (lontana parente di Augusto per parte di padre).
Forse la follia dell'imperatore era stata attratta dall'aspro contrasto fra i coniugi: giovanissima e bellissima vergine la sposa, zoppo, balbuziente, stancato dagli anni e da tre matrimoni lo sposo.
Per ironia della sorte, Messalina divenne presto imperatrice proprio al fianco di Claudio e crebbe, stando almeno al racconto di Svetonio, nel culto di se stessa.
La sua bellezza prorompente e il suo grado sociale la rendevano oggetto di continue lusinghe alle quali, troppo presto e troppo volentieri sempre secondo Svetonio, l'imperatrice cedette.
Gli amori extraconiugali, tuttavia, non sembravano saziarla, tanto che Messalina arrivò a prostituirsi, in una personale corsa allo svilimento di sé su cui gli psicologi moderni avrebbero molto da dire.
Ma il colmo dei suoi eccessi avvenne quandò sfidò una nota prostituta a una gara di amplessi.
Vinse Messalina con ventisei rapporti consumati nell'arco di una sola giornata.
Fu il canto del cigno di chi artista non era né voleva esserlo.
Claudio non poté più mettere a tacere lo scandalo.
Decise allora di lasciarlo tracimare.
Messalina fu uccisa.
L'imperatore, comunque, non tardò a consolarsi della perdita.
L'anno successivo, 49 d. C., sposò in quinte nozze Agrippina, sua nipote.
Il severo mos maiorum non permetteva il matrimonio fra consanguinei e la legge romana ne aveva preso atto vietandolo formalmente.
Fu perciò approvata in fretta una proposta di legge che mirava (almeno formalmente) a una modifica del diritto matrimoniale in linea con i mutamenti intervenuti nella società romana, garantendo la validità legale dell'atto matrimoniale fino al terzo grado di parentela cioè, fuori dall'asettico gergo legale, fino al rapporto fra zio e nipote.
Guarda caso, quello fra Claudio e Agrippina.
La sposa trentaquattrenne portava in dote all'anziano marito la fama del proprio casato (era figlia di Germanico) e un figlio avuto dal primo matrimonio, Lucio Domizio Enobarbo, noto alla storia come Nerone.
Cinque anni dopo lo sposalizio, Claudio si ammalò, prima di poter designare erede suo figlio Britannico (nato dal matrimonio con Messalina) e in poco tempo morì.
Si disse che Agrippina era stata molto scaltra e che il suo veleno aveva sortito il suo effetto.
Suo figlio, Nerone, divenne imperatore.