Scarse sono le notizie sulla vita di Publio (o Gaio) Cornelio Tacito
Tuttavia Plinio il Giovane, che fu suo amico, in un passo dice che Tacito era di qualche anno più anziano di lui. E dato che Plinio nacque nel 61 o 62 d. C. gli storici indicano la data di nascita di Tacito intorno al 55 d. C.
Incerto è anche il luogo in cui nacque: la tesi più accreditata è che nacque a Terni, dato che un imperatore del III sec. d. C., Tacito, nativo di Terni, si vantava di essere discendente dello storico.
Si è però pensato anche ad origini galliche.
Di certo c'è che la sua famiglia doveva essere di condizione agiata, infatti Tacito compì tutto il corso degli studi e iniziò ad esercitare l'attività di avvocato.
Nel 78 d. C. sposò la figlia di Giulio Agricola, un uomo di peso politico notevole, a cui infatti verrà affidato l'importante incarico della conquista della Britannia.
Forse anche grazie all'influenza del suocero, Tacito iniziò a scalare le tappe del cursus honorum.
Tribuno militare sotto Vespasiano, questore sotto Tito, tribuno della plebe e poi pretore sotto Domiziano nell'88 d. C.
Dopo questa data ebbe incarichi fuori dall'Italia, forse in zone limitrofe a quella Germania che descriverà in una delle sue opere più famose.
Nel 93 d. C., però, alla notizia della morte del suocero, avvenuta in circostanze non molto chiare (si sospettava addirittura che fosse stato avvelenato per ordine dell'imperatore), ritornò in fretta in Italia.
Negli ultimi anni della dittatura di Domiziano Tacito scomparve dalla scena politica e solo nel 97, all'avvento del nuovo imperatore Nerva, ricoprì la carica di consul suffectus (console supplente).
Scarse sono le notizie sugli anni seguenti, ma certamente Tacito conservò amicizie influenti, dato che nel 112-113 fu nominato proconsole d'Asia dall'imperatore Traiano.
Dopo questa data non sappiamo più nulla di Tacito, per cui gli storici hanno ipotizzato che egli abbia vissuto gli ultimi anni della sua vita nella scrittura delle opere che lo hanno reso celebre.
Dialogus de oratoribus: breve trattato sulle cause della crisi dell'eloquenza
Agricola: biografia del suocero di Tacito, Giulio Agricola, conquistatore della Britannia, forse avvelenato per ordine dell'imperatore Domiziano.
De origine et situ Germanorum (o più semplicemente Germania): breve trattato sulla geografia e le abitudini dei popoli germanici, in un confronto critico con i modelli comportamentali romani del tempo di Tacito.
Historiae: opera storica, di stampo annalistico, che trattava gli avvenimenti della storia romana recente, dalle guerre civili per la conquista del trono imperiale seguite alla morte di Nerone (69 d. C.) alla morte di Domiziano (96 d. C.)
Annales: opera storica, di stampo annalistico come le Historiae, che trattava gli anni dalla morte di Augusto (14 d. C.) alla morte di Nerone.
Il Dialogus de oratoribus è, per l'appunto, un dialogo in cui l'autore tenta di rispondere alla domanda come mai ai suoi tempi non ci siano più gli oratori di un tempo, capaci di incantare le assemblee con discorsi di tipo ciceroniano, cioè la stessa domanda che è alla base del De causis corruptae eloquentiae di Quintiliano.
Si è discusso a lungo se quest'opera sia effettivamente di Tacito o sia un falso, perché l'opera è scritta in stile ciceroniano, mentre nelle altre opere Tacito utilizza uno stile diverso, molto più personale e che a volte arriva a infrangere alcune "regole" dogmatiche della lingua latina, come quando fa coincidere il soggetto della reggente col soggetto dell'ablativo assoluto (è questa una delle ragioni per cui si è ipotizzato che Tacito sia nato in Gallia, e dunque non parlasse il latino dei puristi, formati nelle scuole laziali).
Tuttavia, la critica più recente, correttamente, ha notato che questo tipo di questioni non si potranno mai risolvere a partire dallo stile, perché lo stile di qualunque autore cambia nel tempo e si matura.
Sarebbe assurdo, ad es., contestare che Manzoni abbia effettivamente scritto gli Inni sacri solo perché il linguaggio e lo stile dei Promessi sposi sono diversi.
Si tratta, evidentemente, di opere differenti per scopi, generi letterari, maturità dell'autore al momento della scrittura.
Lo stesso discorso vale per il Dialogus.
Certamente lo stile è differente dalle altre opere tacitiane, ma questa differenza si può spiegare col fatto che sia un'opera della giovinezza, quando l'autore non aveva ancora sviluppato il suo stile più maturo e con l'appartenenza dell'opera al genere del dialogo di tipo ciceroniano.
Nel dialogo si immagina che Fabio Giusto (a cui l'opera è indirizzata) abbia chiesto a Tacito perché, secondo lui, ai loro tempi si assiste a una crisi generale dell'eloquenza.
Mentre al tempo di Cicerone esistevano grandi oratori capaci di incantare le folle durante un comizio politico o una causa in tribunale, oggi gli oratori non esistono praticamente più.
Tacito non risponde direttamente, ma raccontando un dialogo su quest'argomento a cui avrebbe assistito intorno al 75 d. C. in casa di Curiazio Materno.
Dopo questa premessa, il dialogo vero e proprio si apre con Curiazio Materno impegnato nella lettura del Cato (Catone), una tragedia scritta da lui stesso.
Interviene a questo punto l'oratore Marco Apro che lo rimprovera perché, secondo lui, dovrebbe occuparsi di eloquenza, piuttosto che di argomenti poetici.
Con l'eloquenza, infatti, si può essere in grado di indirizzare le folle verso obiettivi di promozione sociale, dunque si tratta di una scienza utile, mentre la poesia ha come scopo soltanto lo svago.
Materno risponde che non è affatto così, ma che anzi proprio la poesia ottiene il fine più nobile di tutti, perché aiuta il singolo uomo, nei momenti di otium, a raggiungere la serenità interiore.
Un altro personaggio, Vipstano Messalla propone un ulteriore tema: è stato il passaggio dalla repubblica al principato a causare la fine dell'oratoria oppure anche sotto la monarchia ci sono stati grandi oratori?
A questo punto il dialogo entra nel vivo della questione.
La crisi dell'oratoria viene ricondotta alla mancanza di libertà politica tipica dei sistemi monarchici.
In uno stato in cui tutte le decisioni più importanti vengono di fatto prese dall'imperatore, è venuta meno la base stessa dell'oratoria.
Solo in un sistema di tipo repubblicano, quando il potere legislativo ed esecutivo era in mano al Senato, era necessario saper parlare e saper convincere l'assemblea delle proprie opinioni.
Oggi, invece, è diventato molto più utile saper entrare nelle grazie del princeps per ottenere i suoi favori.
Così si conclude il dialogo.
Tacito, tuttavia, non vuole fare una critica del principato in sé. L'autore riconosce i vantaggi che la monarchia ha portato a Roma: la fine delle guerre civili e la pace interna.
Se poi la monarchia, per ottenere il fine della pace sociale, ha censurato la libertà di parola e altre libertà proprie dei sistemi democratici, per Tacito si tratta di un male minore.
Dunque il Dialogus non è una critica al sistema politico attuale, ma piuttosto un'amara constatazione e una risposta critica all'opuscolo di Quintiliano sullo stessa tema.
Per Quintiliano, infatti, la crisi dell'eloquenza è legata alla crisi del sistema scolastico e quindi, con una buona riforma della scuola, si potrebbe risolvere il problema.
Per Tacito, invece, la questione non dipende dalla riforma del sistema di istruzione, perché è legata al nuovo assetto politico di Roma, e dunque non ha soluzione.
Il De Vita Iulii Agricolae, in 46 capitoli, fu scritto nel 98 d. C., poco dopo che Traiano era diventato imperatore.
L'opera si presenta come una biografia del suocero di Tacito, Giulio Agricola e ne racconta il percorso di studi, l'attività politica - con particolare riferimento alla sua attività più celebre, la storica conquista della Britannia - l'invidia di Domiziano e la morte improvvisa.
Oltre che una biografia, però, l'Agricola ha anche le caratteristiche di una laudatio funebris, il discorso di lode che veniva pronunciato durante i funerali solenni di importanti uomini di stato.
Infatti Tacito non si limita a raccontare le gesta del suocero, ma tenta di tracciarne un profilo eroico, giustificando i suoi rapporti con la corte del tiranno Domiziano.
Non è strano.
Quando Traiano arrivò al potere, come tutti i leader venuti dopo regimi dittatoriali fondati sul terrorismo di stato, cercò di presentare se stesso come l'uomo che avrebbe restituito alla nazione la concordia fra le parti sociali.
Ovviamente, nel fare questo, avrà eclissato buona parte della classe politica che aveva militato al servizio del precedente governo.
L'Agricola, perciò, non è solo un elogio delle virtù politiche del suocero, ma anche un tentativo di giustificare lui e tutti quegli altri (Tacito compreso) che anziché ribellarsi al tiranno Domiziano, non solo non lo avevano mai criticato, ma ne avevano serenamente accettato importanti incarichi pubblichi.
Questo atteggiamento, che da altri poteva essere accusato di servilismo o di spregiudicato collaborazionismo, viene rovesciato da Tacito con l'osservazione che se tutti gli uomini giusti si fossero tirati indietro, lo stato sarebbe rimasto in balìa dei peggiori.
Era dunque necessario che Agricola, come molti altri, accettassero con coraggio il compromesso con il regime domizianeo, pur di di mettere al servizio dello stato le proprie competenze politiche.
Particolarmente interessante è la sezione in cui Tacito parla del modo di vivere dei Britanni.
Così come farà nella Germania, l'autore si sofferma sui valori morali che questi popoli hanno saputo conservare, al contrario dei Romani che saranno sì più evoluti tecnologicamente e capaci di conquiste, ma hanno abbandondato i valori del passato e sono in piena crisi morale.
Notevole, inoltre, l'obiettività dell'autore che riporta anche pensieri dei nemici che certo non fanno onore ai Romani, come il famoso discorso di Calgaco, uno dei leader dei Caledoni:
"rubare, massacrare, rapinare, lo chiamano imperium; dove fanno il deserto lo chiamano pace".
Evidente requisitoria contro l'ipocrisia dei "media" romani che nascondevano la propria sete imperialistica dietro l'ideale della "pace romana" da estendere a tutti i popoli.
Il De origine et situ Germanorum (46 capitoli scritti dopo il 98 d. C.) è una monografia di carattere geografico ed etnografico.
L'opera è divisa in due parti:
i capitoli 1-27 descrivono la geografia fisica e le abitudini di vita dei Germani
i capitoli 28-46 descrivono la geografia fisica e le abitudini di altri popoli transrenani: Elvezi, Ubii, Boii ...
In questo modo Tacito non si occupa solo dei Germani, ma di tutti quei popoli che abitavano all'esterno dei confini dell'impero romano, in un'area geografica compresa tra il Reno, il Danubio, il mare del Nord e il Baltico.
Cioè, con grandissimo intuito, di quei popoli che, nel giro di qualche secolo, si sarebbero sostituiti ai Romani nel governo dell'Europa occidentale.