Quando si sposa un eunuco, Mevia va a caccia di cinghiali a seni scoperti, un barbiere compete in ricchezza con gli antichi patrizi [...] quando un ruffiano accetta l'eredità dell'amante di sua moglie ... è difficile non scrivere satire, anzi sarà l'indignazione in persona a scrivere versi.
Giovenale è tutto qui.
Un moralista risentito agli occhi di alcuni, un difensore della cultura dei padri secondo altri.
Per noi, a prescindere dai giudizi morali, è una fonte preziosissima per conoscere il cambiamento di mentalità che attraversa la società romana di quei tempi e la testimonianza che la storia è piena di corsi e ricorsi.
Giovenale non ebbe successo ai suoi tempi.
Poco conosciamo delle dinamiche editoriali di quell'epoca, ma forse fu proprio il suo biasimo della cultura contemporanea a decretarne il flop.
Solo a partire dal IV sec. d. C. la sua opera conobbe un revival significativo e non è senza ragione.
Se all'epoca di Giovenale la crisi romana consisteva soprattutto nel declino di un sistema di valori morali, duecento anni dopo, era divenuto evidente ai più che l'impero, almeno nella sua parte occidentale, stava per crollare in quanto tale.
Ben altre erano le sfide di quei tempi e, agli occhi degli intellettuali dell'epoca, un Giovenale non appariva più come un vecchio moralista, ma come il rappresentante di una cultura austera e forte, quella degli uomini e delle donne che avevano forgiato l'impero col loro sangue e il loro valore.
L'individuazione dei motivi profondi della crisi politica ed economica (che per gli antichi era sempre da rintracciare all'interno dell'uomo e non in cause estrinseche) appariva allora come il primo passo per una presa di coscienza che potesse aprire le porte a una palingenesi. E Giovenale poteva essere d'aiuto proprio in questa duplice operazione.
Fu solo allora che si pose il problema della ricostruzione della biografia dell'autore, ma duecento anni di silenzi avevano coperto quasi ogni traccia.
Dunque, di Decimo Giunio Giovenale possiamo oggi presumere che nacque intorno alla metà del primo sec. d. C., dato che lo stesso autore, nella prima satira, si presenta come un uomo maturo, ed è certo che tale satira fu composta non prima del 100 d. C. (vi si accenna a un processo politico avvenuto in quell'anno).
Il luogo di nascita è verosimilmente Aquino, oggi in provincia di Frosinone, anche se è stata avanzata l'ipotesi di una sua nascita in provincia (alcuni critici hanno pensato alla Spagna, altri all'Africa).
Una biografia antica ci dice che il padre (o il tutore, il biografo non ne è certo) di Giovenale era un ricco liberto, anche se questo dato contrasta con alcune affermazioni dello stesso Giovenale, in cui egli critica apertamente propio la classe dei liberti, il che apparirebbe come scelta perlomeno infelice da parte di chi a quella classe fosse appartenuto.
Certamente frequentò tutti gli ordini di scuola: lo conferma lo stesso autore, quando nella satira prima accenna al fatto che anche lui, da bambino, ha sottratto le mani dalla bacchetta del maestro, ha studiato letteratura latina e greca e si è cimentato nella creazione di suasoriae, la tradizionale forma di esercitazione forense proposta ai futuri avvocati.
Qualche studioso ha ipotizzato che Giovenale abbia effettivamente esercitato la professione di avvocato, pur con scarso successo. Lo si dedurrebbe dall'ampia conoscenza che di questa professione l'autore fa mostra nella sua opera e anche il disprezzo con cui descrive il cinismo degli studi legali più importanti, che fagocitano con avidità tutti i clienti più danarosi, lasciando alla massa degli altri solo le briciole.
Tuttavia, si tratta di un argomento e silentio, che rimane nel puro campo delle ipotesi, per quanto suggestive.
Il Giovenale maturo è un uomo della media borghesia: possiede una proprietà di modeste proporzioni ereditata dal padre, un podere a Tivoli da cui riceve diversi prodotti agricoli e d'allevamento, una casa a Roma, diversi schiavi.
Fu probabilmente al servizio di potenti patroni. Lo si può intuire dalle accurate descrizioni della vita del cliente che abbondano nelle sue pagine, dalla tristezza accorata con cui ne parla e da un riferimento che troviamo in un epigramma di Marziale a lui dedicato.
Sappiamo, proprio da alcuni epigrammi di Marziale, che fra lui e Giovenale si era instaurato un rapporto di amicizia e non ci suona strano vista l'eco del sentire fra i due moralisti satirici.
Cominciò a pubblicare tardi. Lo dimostrerebbero la cronologia della prima satira, scritta certamente non prima del 100 d. C. e il fatto che l'amico Marziale, pur parlando delle attività di Giovenale, non accenna mai a una sua attività letteraria (anche se la vita di Giovenale, contenuta nel più antico manoscritto delle Satire a noi pervenuto, accenna alla scrittura di alcune satire che l'autore avrebbe mantenuto segreta anche alla cerchia degli amici più stretti).
Proprio la vena satirica della sua opera gli costò l'esilio da Roma (su questo fatto convergono tutte le biografie antiche).
Pare che Giovenale, già ottantenne, abbia osato prendere di mira un attore favorito dall'imperatore. Quest'ultimo, per punire l'eccessiva libertà dello scrittore, lo nominò comandante di una coorte e lo spedì in una delle zone più desertiche dell'Egitto o - secondo altri studiosi - in una remota regione della Scozia, in ogni caso relegato ai margini dell'impero, dove sarebbe morto di lì a poco di crepacuore.
Nella satira XV, Giovenale accenna a un fatto di cronaca scandaloso, un episodio di cannibalismo avvenuto in Egitto nel 127 d. C. (ciò che è sembrato una conferma del suo esilio in quella provincia).
Dopo questa data nulla di certo si può dire dell'autore, anche se una delle vite ci narra che Giovenale morì in tardissima età sotto l'imperatore Antonino Pio (138-161 d. C.).
Giovenale si dedicò esclusivamente alla scrittura di satire.
Ce ne rimangono sedici (l'ultima incompleta), divise in cinque libri.
Gli argomenti, in estrema sintesi, sono i seguenti:
I satira: Indignazione del poeta verso la corruzione della società contemporanea - necessità della satira
II satira: Contro gli omosessuali
III satira: Contro la vita caotica della capitale
IV satira: Contro l'inutilità della politica
V satira: Triste vita dei clienti
VI satira: Contro le donne moderne
VII satira: Triste vita degli intellettuali in una società dominata dal valore del denaro
VIII satira: La vera nobiltà
IX satira: Triste racconto di Nevolo, cliente abusato sessualmente dal suo patrono
X satira: I beni autentici
XI satira: Invito a un amico a sperimentare l'ospitalità di Giovenale, frugale ma sincera
XII satira: La vera amicizia
XIII satira: Il peggiore dei vizi moderni: la falsa testimonianza
XIV satira: La vera educazione
XV satira: Agghiacciante episodio di cannibalismo
XVI satira: Vita militare (la satira si interrompe, bruscamente, al verso 60)
Sempre e solo ascoltatore? Non risponderò mai,
anche se scocciato dalla Teseide del rauco Cordo?
Dunque impunemente uno mi reciterà togate,
un altro elegie? Impunemente consumerà il giorno uno smisurato
Telefo o un Oreste scritto addirittura nei margini bianchi
di un libro per giunta non ancora terminato?
A nessuno è nota casa sua come a me il bosco
di Marte e la grotta di Vulcano presso gli scogli eolii;
cosa fanno i venti, quali anime tormenta
Eaco, da dove un tale ha portato via l'oro
del vello rubato, che grandi frassini lancia Monico,
lo gridano i platani di Frontone e i marmi distrutti e le colonne rotte
da un logorroico lettore. Ormai ci aspettiamo lo stesso dal migliore
Come dal peggiore poeta. Ma anch'io ho olto la mano dalla bacchetta
del maestro, anch'io ho consigliato a Silla di ritirarsi a vita privata.
È un'inutile cortesia, quando incontri vati
dappertutto, risparmiare pergamena.
Tuttavia preferisco percorrere il campo
nel quale guidò i cavalli il grande figlio di Aurunca e,
se me lo permettete, ve ne darò le ragioni:
quando un tenero eunuco si sposa, una Mevia
trafigge un cinghiale toscano e impugna la spada a seno scoperto,
quando compete in ricchezze coi nobili uno
che mi tagliava la barba quand'ero ragazzo,
quando un plebeo egiziano, quando un Crispino, schiavo
Canopo, intabarrato in mantelli di porpora tiria,
sventola fra le dita sudaticce un anello d'oro
con una gemma che più pesante non riuscirebbe a portarla,
è davvero difficile non scrivere satire.
Vorrei fuggire più lontano dei Sarmati e dell'Oceano
ghiacciato, ogni volta che parlano di buoni comportamenti
quelli che fingono di essere dei Curii e vivono nei Baccanali.
[...]
Lo sanno tutti perché Istro ha inserito nel testamento un solo liberto:
perché da vivo aveva donato molto alla moglie.
Sarà ricca la donna che si accontenta di essere terza in una grande letto.
Sposati e taci: i segreti donano gioielli.
E si permettono di giudicarci?
La censura scusa i corvi e se la prende con le colombe."
Sono scappati questi finti Stoici di fronte alla verità;
forse, infatti, Laronia ha detto il falso? Ma cosa
non faranno gli altri, quando tu, Cretico, indossi abiti trasparenti
e di fronte al popolo che ti guarda attonito svolgi le tue perorazioni
contro Procule e Pollitta? Fabulla è un'adultera;
sia condannata, se vuoi, anche Corfinia: non indosserà, da condannata,
una toga come la tua. "Ma è luglio, si brucia".
Ma vattene in giro nudo: la pazzia è meno vergognosa.
Ecco l'abito con cui avrebbe dovuto ascoltarti proporre leggi e decreti
un popolo sanguinante di ferite ma vincitore, un popolo
di montanari, da poco lasciati gli aratri.
[...]
Il contagio ha diffuso la malattia e la causerà
ancora in molti, come nei campi l'intero gregge
cade per la scabbia e la tigna di un solo porco
e la vigna marcisce per il marciume di un solo grappolo.
Presto farai di peggio che indossare abiti del genere;
nessuno è giunto subito all'abisso della vergogna. Ti accoglieranno
a poco a poco quelli che in casa si cingono la fronte con lunghi nastri
e indossano gioielli su tutto il collo e sacrificano
alla dea Buona il ventre di una tenera scrofa
e una grande coppa di vino. Ma il rito è sbagliato,
nessuna donna attraversa la porta: l'altare della dea è solo
per i maschi. Gridano: "Via, profanatrici. Non vogliamo flautiste qui".
Simili orge celebrarono i Batti, abituati a stancare la Cecropia Cotito
alla luce di fiaccole segrete. E uno allunga le sopracciglia tinte di liquida
fuliggine con un ago ricurvo e colora le ciglia tremolanti; un altro
beve da un Priapo di vetro e riempie con la folta chioma
una reticella d'oro, indosso ha un abito a scacchi azzurrino o un vestitino
verde pallido e il servo giura per la Giunone del suo padrone;
un altro ha uno specchio, ornamento di Otone il patico,
bottino di Attone di Aurunca, in cui si specchiava
armato, quando già aveva ordinato di alzare i vessilli.
Un fatto memorabile per gli annali della storia contemporanea:
uno specchio fu bagaglio nella guerra civile.
[...]
qui la svergognata Cibele, la libertà di parlare con voce effeminata
e un vecchio fanatico coi capelli bianchi
custode delle cose sacre, raro e memorabile esempio
di gola profonda; un vero maestro.
Ma che aspettano a tagliarsi, come fanno i Frigi
- sarebbe anche ora - quella carne superflua?
Gracco ha portato in dote 400.000 sesterzi
a un suonatore di corno, o forse ha cantato sul turgido bronzo;
contratto firmato, "felicità agli sposi", è pronto il
banchetto, il marito porta in braccio la novella sposa.
Lo chiedo ai politici: c'è bisogno del censore o dell'aruspice?
Potremmo immaginare mostruosità più orripilanti
solo se una donna partorisse un vitello o una mucca un agnello.
[...]
Postumo ti sposi? Chi ti ha fatto
impazzire? Dei serpenti o Tisifone in persona?
Non faresti meglio a impiccarti?
Ci sono tante finestre alte ...
Il ponte Emilio è qui a due passi.
Non ti piace nessuna di queste fini?
Non pensi sarebbe meglio un ragazzino?
Di notte non litiga, viene a letto con te ma
non ti chiede regalini, non ti biasima se non ti sfianchi,
e neppure se non ansimi come vorrebbe.
A Ursidio piace la legge Giulia: vuole un erede.
[...]
E cerca una moglie all'antica.
Medici! Un salasso! Presto!
Caro mio, inginocchiati nel tempio di Giove Tarpeo,
sacrifica una giovenca d'oro a Giunone
se ti capiterà una sposa onesta.
[...]
A Iberina basta un solo uomo?
Forse potrebbe accontentarsi di un solo occhio.
[...]
Quando Batillo danza flessuoso la pantomima
di Leda, Tuccia ha un orgasmo, Apula lancia gemiti
improvvisi e lunghi. Timele osserva.
Timele, ancora, deve imparare.