Publio Virgilio Marone nacque ad Andes, vicino Mantova, il 15 ottobre del 70 a. C., da una famiglia di piccoli proprietari terrieri.
Il tipico paesaggio della campagna lombarda segnerà la memoria di Virgilio, che infatti ne userà i ricordi in alcune struggenti immagini delle Bucoliche.
Non sappiamo molto degli anni giovanili del poeta; pare comunque certo che egli abbia studiato prima in Lombardia, poi a Roma e a Napoli, dove seguì le lezioni del filosofo epicureo Sirone.
All’età di circa vent’anni, subì la confisca delle sue terre[1], dato che nella lotta fra Antonio e Ottaviano da un lato e Bruto e Cassio dall’altra, Mantova aveva preso le parti di questi ultimi che, poi, erano stati sconfitti.[2]
Questo episodio, oltre a costituire una forte spinta alla composizione della sua prima opera importante, le Bucoliche, impressionò certamente Virgilio e gli fece chiaramente capire che la guerra non era semplice materia di narrazione poetica. La guerra provocava lutti e dolori a persone in carne e ossa.
Questa lezione segnerà la prospettiva da cui egli guarderà agli eventi bellici nell’Eneide e alla costruzione stessa del protagonista: Enea non è Achille, non possiede l’istinto innato dell’omicida seriale. Per l’eroe troiano la guerra è una triste necessità di cui egli farebbe volentieri a meno. Da un certo punto di vista, anzi, si può dire che Virgilio è un antimilitarista.
Le Bucoliche fecero conoscere il talento del giovane lombardo, che entrò a pieno diritto nel circolo di Mecenate.
Nel I sec. a. C. non esistevano internet e la televisione, ma gli strumenti di comunicazione di massa sì e il medium privilegiato dalla propaganda imperialistica era la poesia.
Ottaviano voleva rifondare il tessuto delle piccole e medie imprese agricole, che aveva sempre caratterizzato l’economia italiana e che dopo le guerre puniche era seriamente stato messo in crisi dai latifondi che sfruttavano manodopera schiavile.
Per fare questo puntava non solo su provvedimenti di natura economica e tecnico giuridica, ma anche sulla “educazione civica”.
Voleva in sostanza rifondare il mito della campagna, da cui soprattutto le nuove generazioni si sentivano lontane.
Così a Virgilio fu commissionato un poema che esaltasse il lavoro agricolo. Egli vi lavorò per circa un decennio e il poema fu pubblicato nel 29 a. C. col titolo di Georgiche. Siamo negli anni in cui sembra che la pace sia finalmente tornata nell’impero, ad Azio, nel 31 a. C., la flotta di Ottaviano ha semidistrutto la flotta egizia di Antonio e Cleopatra, non ci sono altri leader carismatici in grado di opporsi al futuro Augusto e nessuna guerra civile si profila all’orizzonte. Il princeps vuole la gloria dei poeti, vuole passare alla storia, così chiede ai letterati del suo circolo di scrivere su di lui, in primis a Virgilio.
Il nostro cerca inizialmente di costruire un poema epico storico sulle vicende di Augusto, ma poi cambia idea e sceglie di cantare il suo protettore rievocando le vicende del mitico progenitore.
In fondo, Augusto viene presentato come il nuovo Enea e nel poema sono diversi gli episodi in cui si fa esplicito riferimento alle imprese di Ottaviano e alla loro importanza epocale: Augusto come l’uomo della provvidenza.
La gestazione dell’Eneide è però travagliata, fra l’altro dalle cattive condizioni di salute del poeta, che decide di compiere un viaggio in Grecia, per osservare direttamente i luoghi di cui sta raccontando.
Di ritorno dalla Grecia, già in condizioni di salute precarie, Virgilio muore a Brindisi il 21 settembre del 19 a. C., senza poter completare l’opera.
Nel testamento chiese esplicitamente che l’Eneide venisse bruciata, vista la sua incompletezza, ma Ottaviano decise altrimenti e affidò a Vario e Tucca, poeti anch’essi del circolo e amici di Virgilio, il compito di rivedere l’opera in vista della pubblicazione. E così avvenne.
Sopra la tomba di Virgilio fu iscritto un distico che, pare, l’autore stesso aveva creato come epitaffio.
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Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces |
Mantova mi diede i natali, la Calabria[3] mi strappò la vita, il mio corpo giace a Partenope[4]; scrissi di pascoli, campi e condottieri. |
In due soli versi, il poeta racchiude tutta la propria vita, citando i luoghi della nascita, della morte, della sepoltura e la sua attività di scrittore.
Con un colpo di bravura, poi, nel secondo verso concentra in un solo emistichio tutta la propria produzione poetica: pascua (i pascoli delle Bucoliche), rura (la campagna oggetto delle Georgiche), duces (i condottieri cantati nell’Eneide).
[1] Che comunque gli furono presto restituite per l’interessamento di un influente personaggio (quasi certamente Asinio Pollione) che lo aveva raccomandato presso Ottaviano.
[2] L’assegnazione di terre costituiva una specie di trattamento di fine rapporto per i soldati che avevano combattuto nelle fila dell’esercito di Antonio e Ottaviano. In un’epoca di forti disordini sociali e di inflazione galoppante, era ovvio che i soldati preferissero ricevere un pagamento in beni immobili piuttosto che in denaro, il cui valore effettivo rischiava di essere notevolmente diminuito nel giro di pochi anni. La distribuzione di terre faceva inoltre parte di un più generale progetto di riqualificazione del territorio italiano: assegnare terre ai soldati significava renderli proprietari di piccole aziende agricole, il tessuto economico ed imprenditoriale che aveva segnato il successo di Roma nei secoli precedenti le guerre puniche e che, invece, negli ultimi duecento anni, era stato seriamente messo in crisi dalla presenza sul mercato dei prodotti a basso costo delle multinazionali che sfruttavano il latifondo e la manodopera di origine schiavile.
[3] Virgilio era morto a Brindisi, che oggi fa parte della regione Puglia, mentre all’epoca di Virgilio apparteneva alla “regione” Calabria.
[4] Era tipico della poesia colta utilizzare toponimi ricercati e desueti, come in questo caso Partenope anziché Napoli.