La lunga presenza politica di Ottaviano Augusto trasformò Roma in maniera così radicale che niente fu come prima.

Se fino all'età di Cesare i romani potevano pensare che le lotte dei signori della guerra fossero un fatto temporaneo, una parentesi storica che nulla avrebbe modificato nell'assetto profondo della Repubblica, Ottaviano, una riforma dietro l'altra, trasformò definitivamente Roma in una monarchia.

 

Nessun imperatore romano, nemmeno nei secoli più tardi in cui oramai era evidente che la Repubblica era morta e sepolta, definì mai se stesso "rex", re.

E tuttavia, se formalmente il leader maximo era solamente "imperator", comandante delle truppe, grazie ad Augusto, nelle sue mani erano concentrati tutti i poteri dello Stato, tanto che nel III sec. d. C. "quod principi placuit legis habet vigorem", ciò che decide il principe ha valore di legge.

 

Il lungo dominato di Augusto, però, fu visto dai contemporanei come un'oasi di pace dopo quasi un secolo di guerre civili.

Per le generazione di Virgilio e Orazio, che avevano vissuto in prima persona gli orrori della guerra, Augusto rappresentava il leader saggio che aveva saputo riportare la pace e la concordia fra le classi sociali.

Se poi questo era avvenuto a condizione di eliminare alcune delle libertà democratiche, poco male, lo Stato romano era però stato salvato.

Non si spiegherebbe altrimenti, ad esempio, come semplice piaggeria, un'opera come l'Eneide, in cui il più grande poeta di quest'epoca, Virgilio appunto, fa di Ottaviano una sorta di messia voluto dal fato per riportare la pace sulla terra.